Il sole scintilla basso sulla strada che da Cabras si incurva verso Cagliari. Spazi springsteeniani, colori da Mirò, mentre nell’auto ormai si contano i giorni. Quanto manca al Natale, dite? Neanche per idea, questi sono calcoli da ragionieri d’agendina. Qua si aspetta friggendo d’impazienza un’altra data, l’11 febbraio, giorno del Concordato che però nella testa di sessanta adolescenti sa di lotta e di utopia. Ma converrà riprenderla dall’inizio questa storia di tradimenti e di passioni civili, di banditi in uniforme e di contadini di biblica sapienza.
C’era dunque un giorno in provincia di Nuoro (e oggi provincia di Cagliari) la banda Petrus, che prendeva il nome da Pietro Deidda, un carabiniere sardo che aveva militato con dubbio decoro nelle file dell’Arma. In Campania, in terra di camorra. Il quale aveva stretto qualche buon accordo con i masnadieri di quelle parti, venendone rimpinzato di soldi, tanti soldi da investire nella sua terra per conto loro. Narrano le leggende orali, ma anche gli atti giudiziari, che per ripulire quel denaro Petrus e la sua banda avessero preso l’abitudine di rivolgersi a un po’ di commercianti del luogo disposti a non andare troppo per il sottile. Cento lire sporche contro la metà pulite. Un affare per tutte e due le parti. Finché alla banda crebbe l’appetito. Incominciò a proporre di effettuare lo scambio in aperta campagna con il favor delle tenebre. Sai, la sicurezza…Il commerciante portava la sua valigetta e proprio in quel momento, zac, arrivava una jeep dei carabinieri con tanto di lampeggiante blu. Vedendo le divise tutti si davano alla fuga mollando sul posto le valigette. Ma quelli della banda ritornavano e recuperavano tutto, perché i carabinieri e pure la jeep erano finti, erano amici loro. Roba, a pensarci, che neanche Totò se la sarebbe immaginata. Un giorno la banda incappò in un commerciante speciale. Che finse di accettare l’offerta e avvertì i carabinieri, quelli veri. Che arrivarono ingannando i banditi, beati e convinti che nella jeep ci fossero i propri soci.
Morale: fine di Petrus e dell’organizzazione. Restarono però gli immobili, i terreni con tanto di piscina accumulati dalla banda vicino a Gergei, comune di 1500 abitanti. Località Su Piroi, che vuol dire la pera selvatica. Che vennero confiscati e andarono in gestione all’associazione “La strada”, sorta dall’esperienza di alcuni assistenti sociali del carcere minorile di Quartucciu. E che volle riportare i luoghi a nuova vita, piantando di tutto. Alberi di sughero, non sta scritto sui sussidiari delle elementari che in Sardegna c’è il sughero? Eccolo qui, centoventi piante tirate su con perfezione geometrica. E le piantine di mirto, è il nostro liquore. E poi anche i fichi d’India, che potrebbero fare tanto Sicilia, coppola e mafia, ma qui vogliono spazi immensi e tenacia sarda. Così nel luglio del 2011 sono arrivati in gruppo i volontari di “Estate Liberi”. I quali hanno fatto il loro dovere, guidati dai sommi consigli di Saverio, il contadino più sapiente della provincia. Un oracolo che in ottantatré anni di vita ha imparato tutti i segreti della terra. Segnate i filari tracciando le linee con le canne, gettate la calce nei posti dove volete piantare le orecchie del fico d’India, che attecchisce comunque ma così è più ordinato. Glielo aveva anche detto che era meglio febbraio, perché questa è la stagione della pianta, ma i ragazzi avevano ragionato con il loro, di calendario. Il piccone si era pure rotto contro la terra dura e pietrosa, però con l’aiuto di un escavatore ce l’avevano fatta. Guarda che bella distesa, tutta natura sarda genuina, altro che i soldi sporchi della camorra. Scambio di corrispondenza con Saverio, con quell’indirizzo elettronico inverosimile, gonnospanadiga eccetera. Tutto bene? Sì, tutto bene.

Finché un giorno dello scorso settembre arriva la notizia: le piante dei fichi d’India sono state tagliate. A centinaia, con metodo, per sfregio. Gli studenti del tecnico industriale Marconi di Cagliari la sentono come una ferita. Loro sono tipi particolari. Provate a fare un piccolo esperimento e a chieder loro in assemblea se sanno chi era Falcone e un altro po’ vi linciano per l’indignazione: ma come si permette, per chi ci ha preso? Si mobilitano e danno retta al grande saggio della terra: i fichi d’India si piantano in febbraio. Andranno su quei terreni l’11. Per una sessantina di loro quella data di febbraio sta segnata sul calendario come il giorno della sfida. Si sono divisi i compiti, sarà una grande gita in pullman, sanno già ora chi farà da cuciniere, chi porterà la birra e chi il vino sardo, chi le salsicce, chi le canne e chi la calce. Ma dovete vedere le loro facce per capire che cosa potrà uscire da quella spedizione civile. Dovreste godervi le espressioni fiere di Alessandro, di Oleg e di Nicola, per capire che arriveranno più cavalleggeri che tamburini. E allora anche a voi verrebbe voglia di dire, davanti al tramonto di fiaba: vabbe’c’è il Natale, ma poi arriverà l’11 febbraio…

 

Nando Dalla Chiesa

da Il Fatto Quotidiano, 16.12.12